Torna l’appuntamento settimanale con le riflessioni sul Terzo settore che stiamo curando in collaborazione con ConfiniOnline.
L’autore del contributo di oggi è Bernardino Casadei, coordinatore del Master Promotori del Dono dell’Università dell’Insubria, che ci aiuta a fare una riflessione sull’importanza del dono come motore per scardinare la società dagli attuali paradigmi.
Le persone si avvicinano al mondo del non profit con la speranza di contribuire a creare un mondo migliore. Purtroppo non è raro che i loro sforzi si trasformino in meri palliativi che servono solo a perpetuare le ingiustizie che vorrebbero combattere. Senza comprendere le cause più profonde di queste ingiustizie, tale impegno rischia di rivelarsi controproducente e le buone intenzioni finiscono per lastricare le vie dell’inferno.
La nostra società si è strutturata per permettere al maggior numero di persone di soddisfare il maggior numero di desideri. Questo obiettivo, apparentemente positivo, nasconde però delle insidie che sono la probabile causa del malessere della società del benessere.
Innanzitutto questi desideri hanno come unica giustificazione la volontà di chi li prova. Essi possono essere nobili o meschini, puri o degradanti; tutti hanno lo stesso diritto di essere soddisfatti. L’esistenza si trasforma così in una lotta per cercare di soddisfare, in modo effimero, effimeri bisogni, con le conseguenze in termini di alienazione che sono sotto gli occhi di tutti.
Questa competizione è poi regolata da meccanismi, procedure, automatismi: le famose regole del gioco per cui chi vince ha ragione. In un simile sistema è facile prevedere che la vittoria sarà quasi sempre appannaggio del più forte, del più astuto, di colui che ha meno scrupoli. Pensare che ciò possa generare una società giusta è chiaramente illusorio.
Infine il motore che dovrebbe generare le energie necessarie per soddisfare un numero sempre crescente di voglie è cercato nei vizi privati, i quali genererebbero pubbliche virtù. Avarizia e cupidigia, che Dante indicava come la fonte della dissoluzione di ogni comunità civile, vengono così poste come fondamento della nostra società.
Per contrastare questo sistema non basta produrre beni e servizi, anche se destinati a soggetti svantaggiati, in quanto si tratta di un’attività funzionale al sistema stesso, ma è fondamentale che tale attività sia finalizzata alla riaffermazione della dignità di tutte le persone coinvolte. Il come e il perché sono infinitamente più importanti del cosa. Del resto la crescente professionalizzazione del non profit, incentrata sull’efficienza produttiva e sugli standard di qualità, non sembra aver generato gli effetti sperati, ma sta subordinando il terzo settore a quel pensiero strumentale che è la principale causa del processo di disumanizzazione a cui stiamo assistendo.
Il dono, proprio perché incompatibile con il pensiero strumentale, può essere la leva in grado di farci uscire da queste contraddizioni. Finalizzato a generare relazioni e ad attivare ciò che di più nobile si nasconde nel cuore di ogni uomo, esso può rendere umano l’umano. Per un ente non profit promuovere il dono non serve solo a mobilitare risorse con cui perseguire la propria missione, ma è forse l’unica via veramente efficace per creare un mondo migliore ed evitare di subordinarsi ad una cultura che finisce per calpestare la dignità umana.