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Liberalità ed enti non profit: una nuova stagione

In collaborazione con ConfiniOnline vi proponiamo il primo articolo di una raccolta di spunti e riflessioni sull’evoluzione, le necessità, i bisogni e le problematiche che interessano il Terzo settore.

L’autrice di questo contributo è Marta Cenini, Professoressa associata di diritto privato e diritto civile presso l’Università degli Studi dell’Insubria. È autrice di numerose pubblicazioni in materia di diritto delle donazioni e successioni e di diritto del terzo settore ed è frequentemente invitata in Italia e all’estero come relatore sui temi del dono e delle liberalità.

Le donazioni e le liberalità in genere stanno vivendo una nuova stagione, apertasi con l’emanazione nel 2017 del Codice del Terzo Settore e sviluppatasi nel corso di questi anni anche attraverso nuove forme di liberalità come, ad esempio, le donazioni diffuse (crowdfunding). Attraverso queste elargizioni è stato infatti possibile, anche attraverso gli enti non di lucro, non solo far fronte e sostenere cittadini e comunità in uno dei periodi più drammatici della nostra storia recente, ossia durante la pandemia da Covid 19, ma anche manifestare solidarietà a seguito di eventi naturalistici catastrofici (si pensi alle alluvioni derivanti dai cambiamenti climatici o a eventi sismici) o mettere in atto veri e propri progetti filantropici, attuati sia da singoli filantropi che da intere comunità a vantaggio del proprio territorio.

Dal punto di vista civilistico, le liberalità comprendono sia le donazioni formali e solenni, che, essendo di valore non modico, richiedono la forma notarile dell’atto pubblico e la presenza di due testimoni, sia le donazioni più contenute, che non richiedono la forma solenne ma semplicemente la consegna del bene donato. Accanto a questi due tipologie di donazioni, vi sono le cd. donazioni indirette che consistono in liberalità attuate attraverso altri negozi giuridici e contratti, come per esempio una compravendita a prezzo simbolico, e che non richiedono la forma dell’atto pubblico con i testimoni ma la forma dell’atto con cui si realizza la liberalità.

Caratteristica del nostro ordinamento è che, salvo pochissime eccezioni, le liberalità – sia dirette che indirette – sono considerate come anticipazioni dell’eredità: questa impostazione si spiega in quanto effettivamente, soprattutto in passato, le donazioni non di modico valore anticipavano il passaggio del patrimonio familiare in favore dei membri della famiglia ristretta. La concezione tradizionale (che permea tuttora il nostro codice) prevede inoltre che questi soggetti, i cd. legittimari, hanno diritto ad una frazione del patrimonio ereditario, a prescindere da quanto grande esso sia.

Il calcolo dunque della cd. quota di legittima o quota riservata ai legittimari si effettua riunendo fittiziamente quanto lasciato dal defunto a quanto donato in vita da costui a familiari e a terzi estranei: se le donazioni fatte in vita intaccano la quota di legittima, esse potranno essere “ridotte” ossia diminuite affinché i legittimari possano beneficiare dell’intera quota a loro riservata.
Il nostro codice civile, dunque, non reca una disciplina specifica per le donazioni verso gli enti non di lucro o che perseguano uno scopo di pubblica utilità o solidaristico. Ciò significa che, in particolare per le donazioni non di modico valore verso gli enti non lucrativi, esse potranno essere impugnate dai legittimari con il meccanismo dell’azione di riduzione, con conseguente anche instabilità di queste attribuzioni.

Con l’emanazione della Costituzione e ora del Codice del Terzo Settore si sono però affacciati altri principi, tra cui quello di solidarietà e di tutela della persona che, in quanto di rango costituzionale, paiono poter competere con i diritti dei legittimari alla loro quota di eredità. In altre parole, la liberalità che persegue uno scopo solidaristico o di pubblica utilità potrebbe avere una “forza di resistenza” maggiore rispetto ad una liberalità verso un terzo estraneo alla famiglia (o un familiare stesso) nell’eventuale conflitto con il legittimario. Questo anche considerando che una volta che siano pienamente soddisfatti i bisogni primari dei famigliari (diritto all’istruzione e educazione, alla salute, alla casa di abitazione, a un tenore di vita adeguato), non appare così preminente – nel conflitto con interessi generali e collettivi – un supposto “diritto” a vedersi attribuita una frazione del patrimonio ereditario, frazione che, come detto, non ha alcun tetto massimo.

Appare inoltre necessario un cambio di mentalità della collettività sui temi della solidarietà, della filantropia e del dono. Come anche è stato detto in questo portale, donare infatti significa instaurare delle relazioni, fornire un senso e un significato alle nostre esistenze e gratifica il donante ancor più del donatario. Una maggiore consapevolezza delle funzioni del dono e dei benefici arrecati dall’atto del donare si auspica dunque possa contribuire a un ripensamento delle regole civilistiche sulle liberalità e sulla successione mortis causa.

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